Risparmi, investimenti e prestiti: istruzioni per l’uso (“il Lametino” n. 236 – Settembre 2017)

(Pubblicato su “il Lametino” n. 236 – Settembre 2017, col sottotitolo: Dissesto bancario e relativi danni agli investitori)

Il dissesto di alcune banche italiane ha portato alla ribalta, in tutta la loro drammaticità, problemi prima inesistenti e che riguardano l’integrità dei depositi e degli investimenti in obbligazioni bancarie.  Difatti, le nuove direttive Europee hanno introdotto il bail in bancario, espressione inglese che significa risoluzione all’interno, secondo il quale le Banche rispondono per gli impegni assunti con la loro clientela (leggasi: conti correnti, depositi, obbligazioni di loro emissione, azioni), nei limiti del proprio patrimonio. Il principio nuovo sovverte la prassi precedentemente in uso in tutti i paesi, con regole non scritte ma sempre attuate: per evitare che i depositanti perdessero i depositi affidati alla banca in crisi si procedeva al salvataggio della medesima mediante, fusioni, incorporazioni e, alcune volte, con aiuti di Stato. I salvataggi, venivano effettuati coi soldi dei contribuenti, ma si giustificavano con motivazioni di interesse generale: i salvataggi, si diceva, erano necessari per non turbare l’equilibrio del sistema dei pagamenti, e per il regolare andamento del mercato finanziario.

Oggi, l’unica difesa dei risparmiatori è costituita, oltre che dal patrimonio della Banca, dal Fondo di garanzia dei depositi: il Fondo, in caso di crisi dell’Istituto di credito, garantisce tutti i depositi fino alla concorrenza di € 100.000. Gli importi di entità superiore non hanno nessuna tutela e le eventuali perdite sono sostenute, in definitiva dal depositante.

Il mutato quadro istituzionale comporta maggiori conoscenze e maggiori responsabilità dell’utente bancario e finanziario, il quale dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere informato non solo sulle tipologie dei propri investimenti, ma anche sulle condizioni economico-patrimoniali della Banca o dell’istituzione finanziaria alla quale si affida.

La cultura Finanziaria è detta in inglese financial literacy, ed il termine literacy sta per cultura, alfabetizzazione. Esiste un organismo internazionale Financial Literacy Around the World (traduzione in italiano: cultura finanziaria nel mondo), che conduce ricerche e statistiche sulla conoscenza finanziaria nei vari paesi.

Un suo studio recente stima che soltanto il 37% degli italiani abbia una cultura finanziaria adeguata e il nostro Paese occupa uno degli ultimi posti della graduatoria internazionale, superata da Spagna, Tunisia, Zimbabwe, Senegal, Tanzania, Zambia e Camerun. Nei paesi più virtuosi del mondo occidentale, la conoscenza adeguata si attesta intorno al 70% dei cittadini.

Un recentissimo studio, del 2016, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, dimostra che la cultura finanziaria degli italiani sia molto scarsa. Scendendo nei dettagli lo studio rileva che:

–          Solo 6 correntisti su 10 è in grado di identificare, leggendo il suo estratto conto, il saldo del proprio conto corrente e il 66% non conosce l’impatto che ha sulla rata la scelta di un mutuo a seconda che il tasso fisso o variabile;

–          solo un italiano su quattro (25%) ha dato risposte esatte sul funzionamento del mercato obbligazionario e di quello azionario.

Le due indagini danno una rappresentazione quanto meno sconcertante; eppure nel nostro Paese allorché si verifica uno scandalo che coinvolge banche e depositanti, si levano le grida

contro lo strapotere di Banche e Finanziarie e non ci si preoccupa che forse sarebbe più opportuno colmare il deficit di conoscenza che le indagini riferite evidenziano. Questi deficit costituiscono, quasi sempre la causa principale della perdita totale o parziale dell’investimento nel caso l’utente rivesta la figura del risparmiatore o dell’investitore, o del sovra-indebitamento, nel caso rivesta la figura del richiedente prestiti o mutuatario.

Il risparmiatore-investitore è assillato da un unico problema: il rendimento. E quindi è spinto a scegliere l’investimento col più alto tasso di rendimento.

Orbene, allorché l’investimento è del tutto legale, non si tiene conto di un fatto: che più alto è il rendimento, più alti sono i rischi. Tra i rischi non bisogna considerare solo quelli di perdita del capitale, ma anche la durata dell’investimento. Gli investimenti di lunga durata non possono essere liquidati, in caso di urgente necessità, con facilità, anzi…la liquidazione immediata potrebbe comportare delle perdite non indifferenti.

Chi ha cultura finanziaria è capace di discernere, chi non ha cultura finanziaria è abbagliato dal miraggio dell’alto rendimento che potrebbe riuscirgli fatale.

Non c’è bisogno di citare il recente caso delle banche Venete e delle sottoscrizioni delle obbligazioni subordinate, così chiamate perché vengono rimborsate, in caso di dissesto della Banca emittente, col residuo eventuale seguito al riparto del capitale sociale, ma che promettevano alti tassi di rendimento.

Quella Banche sono andate in dissesto, il capitale sociale si è azzerato e, di conseguenza, anche quello delle obbligazioni subordinate.

E’ stato promesso l’intervento dello Stato, non si sa in quale misura, né quando.

Però, nel prospetto di sottoscrizione, erano indicati i rischi dell’operazione: sarà difficile per molti sottoscrittori alfabeti, dimostrare che sono stati truffati.

La cronaca, anche quella locale, con puntualità ci informa di truffe perpetrate ai danni di risparmiatori, sprovveduti quanto si vuole, ma con grossi deficit di cultura finanziaria.

Perché si danno in gestione o in deposito somme anche ingenti, al consulente di turno?

Perché, allettati dalle promesse di alti rendimenti.

Possibile che nessuno di quei depositanti abbia pensato che quegli interessi fossero fuori mercato, attesi i rendimenti negativi dei bot, il tasso zero dei c/c, il tasso dell’1% dei depositi vincolati e il tasso del 2% circa per i BTP con durata decennale?

Le ragioni sono sempre le stesse: deficit di cultura finanziaria e abbaglio di alti rendimenti.

I risparmi che sono il frutto di enormi sacrifici e che dovrebbero garantire un sereno avvenire alla nostra famiglia e ai nostri figli dovrebbero essere trattati con maggiore serietà e con migliore avvedutezza.

Analoghe considerazioni possono essere anche fatte quando il soggetto riveste la figura del prenditore di danaro: quando cioè richiede un prestito a Banche e/o ad Organismi finanziari.

I prestiti, molto spesso, vengono richiesti non sulla base di pianificate e meditate esigenze familiari, ma, quasi sempre, per urgenti necessità sopravvenute e la trattativa banca-prenditore si basa essenzialmente sui seguenti elementi: l’entità della somma del prestito e l’ammontare della rata di ammortamento.

Acquisiti questi due dati, si procede alla stipula del contratto di finanziamento, rimettendosi nelle mani di Banca o Finanziaria.

La nostra esperienza di operatori impegnati nella prevenzione del fenomeno usuraio, ci ha insegnato che la facile concessione di crediti da parte di Banche e Finanziarie, favorisce la indiscriminata richiesta di prestiti. Essa avviene, quasi sempre, senza un minimo di pianificazione e di informazione finanziaria, entrambe necessarie non solo ad orientare la scelta della forma tecnica del prestito più idoneo alle proprie necessità, ma anche senza la minima conoscenza delle altre condizioni che regolano il prestito, quali i tassi ed i costi aggiuntivi. Ne consegue che le forme più diffuse di indebitamento sono la cessione del quinto dello stipendio, la delega e l’immarcescibile credito revolving. Questo, per le sue facili modalità di utilizzo e per la possibilità di restituire ratealmente la somma prelevata, viene usato indiscriminatamente e senza considerare che, unitamente al prestito con cessione del quinto dello stipendio e la delega, sono le forme più costose di indebitamento: i tassi di regolamento, sono superiori al 16%, per il revolving, e superiori all’ 11% per cessione e delega.

Per quanto ovvio, le banche e le finanziarie, che operano nella sola logica del profitto, orientano il richiedente verso tali forme di indebitamento, oggettivamente più onerose.

Il richiedente, non avendo fatto a monte nessuna pianificazione, sottoscrive il prestito, non scelto da lui, ma consigliato da Banche e Finanziarie, pressato, tra l’altro, dall’urgente bisogno di danaro liquido.

Nel nostro lavoro quotidiano riscontriamo numerosi casi di sovra-indebitamento dovuti a cessioni del quinto, deleghe bancarie, carte revolving, mutui chirografari e scoperti di c/c, che quasi sempre risolviamo con la concessione di mutui ipotecari.

Perché il ricorso al mutuo ipotecario non è stato proposto dalla banca creditrice?

La risposta è semplice: perché sono più laboriosi delle altre concessioni di credito e perché regolati da tassi pari alla metà di quelli degli altri prestiti.

Concludiamo: non si può essere, a seconda delle circostanze, sprovveduti risparmiatori o superficiali richiedenti di prestiti. Né si possono demandare ad altri – Banche, Finanziarie, Consulenti finanziari etc. – scelte di così grave importanza.

Le parti, Banca e cliente, sia che intervengano in un contratto di deposito e/o di investimento, sia in un contratto di prestito, sono portatori di interessi contrapposti in quanto ognuna tende al proprio differente tornaconto. Gli interessi contrapposti si conciliano se esista un effettivo e necessario confronto tra di loro: il cliente deve avere, pertanto, idee chiare delle proprie esigenze e conoscenze finanziarie. Quest’ultima necessaria ad evitare gli “intoppi”, chiamiamoli così, dei quali è lastricata sia la strada degli investimenti che quella dei prestiti.

 

Aldo Sirianni

Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Moietta Onlus